Morti d'amianto all'Ilva, 27 condanne. "Fibre killer ancora nello stabilimento"

Morti d’amianto all’Ilva, 27 condanne. “Fibre killer ancora nello stabilimento”. Riva: “Lunedì diremo cosa sarà della fabbrica”

Pene per 189 anni ai vertici dell’allora Italsider e quelli che sono venuti dopo. “Sul futuro dello stabilimento decide il gruppo non la famiglia”, dice il figlio del patron scomparso al termine dell’incontro sul piano industriale. Landini: “Tempo scaduto, lo Stato valuti l’esproprio”

Lunedì si conoscerà il futuro dell’Ilva, dopo l’incontro di Milano tra il commissario Bondi e la famiglia Riva. Ma oggi a Taranto il tribunale ha condannato 27 ex dirigenti dell’Ilva (una assoluzione) per le morti causate dall’amianto e dalle altre sostanze cancerogene provenienti dallo stabilimento siderurgico. Le pene più alte sono state inflitte agli ex manager della vecchia Italsider pubblica alla quale subentrò il gruppo Riva. Tra questi, Giovanbattista Spallanzani, condannato a 9 anni.

Il giudice della II sezione penale del tribunale di Taranto Simone Orazio ha condannato in primo grado a complessivi 189 anni di carcere gli  imputati per disastro ambientale ed omicidio colposo. Le condanne vanno dai 4 ai 9 anni e mezzo, e hanno colpito gli ex manager e i direttori generali dello stabilimento siderurgico sia dell’era di gestione pubblica sia di quella privata (il gruppo riva acquistò l’acciaieria dallo Stato nel 1995). La pena più alta, 9 anni e mezzo, è andata al manager dell’era pubblica Sergio Noce, 9 anni al suo collega Spallanzani e 9 anni e 2 mesi ad Attilio Angelini, accusati di disastro ambientale e ventuno omicidi colposi, per la morte per mesiotelioma di operai venuti in contatto con fibre di amianto. Ad otto anni e mezzo sono stati condannati Pietro Nardi e Giorgio Zappa, ex dg di Finmeccanica. Fra gli imputati c’era anche il patron Emilio, morto il 30 aprile scorso, suo figlio Fabio Riva e l’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, entrambi condannati a sei anni di reclusione (e indagati nel procedimento per disastro ambientale in corso).

Secondo l’accusa l’amianto fu usato in maniera massiccia nello stabilimento siderurgico di Taranto, il più grande d’Europa, ed è ancora oggi la sostanza killer presente in alcuni impianti Ilva. Nel corso degli anni gli operai non furono formati ed informati sui rischi dell’amianto, non ricevettero sufficienti visite mediche e tutele per la loro salute entrando in contatto con la pericolosa sostanza che in molti caso ha causato malattie e morte. Il giudice ha stabilito una provvisionale nei confronti dell’Inail di circa 3,5 milioni di euro. “Un atto d’accusa durissimo anche per la politica – è il commento del leader dei Verdi, Angelo Bonelli – per una classe politica omissiva e silente”.

La notizia arriva poco dopo il termine dell’incontro milanese nella sede del siderurgico. “Senza un futuro per l’Ilva penso ci sia poco futuro per l’Italia nella siderurgia”. Lo dice Claudio Riva, uno dei figli di Emilio Riva il ‘re dell’acciaio’ scomparso di recente. Sul tavolo, il piano industriale e ambientale dello stabilimento. “Lunedì prossimo faremo avere al commissario la nostra posizione – ha detto – sicuramente è molto complicato”. Riva ha definito la riunione, “interessante e civile”. Ma non nasconde le difficoltà. Con il commissario “ci siamo scambiati le reciproche informazioni” ha aggiunto Riva lasciando la sede milanese dell’azienda insieme al cugino Cesare e a una delegazione di legali e consulenti (poco dopo è stato visto uscire anche l’avvocato Giuseppe Lombardi, che nella vicenda segue il commissario Bondi). “La famiglia è molto unita, ci vogliamo molto bene – ha aggiunto – ma il gruppo Riva è un gruppo industriale e di questa vicenda se ne occupa il gruppo e non la famiglia”.

La situazione non è facile. E’ “drammatica” e “il tempo è scaduto”. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, chiede al governo “di discutere nei prossimi giorni cosa succede nello stabilimento” e di prendere in considerazione l’ipotesi di “forme di esproprio”. “Non è una posizione ideologica a favore di un ritorno alla proprietà pubblica – ha precisato Landini, aprendo i lavori dell’assemblea nazionale Rsu Fim, Fiom, Uilm sulla siderurgia – ma possiamo pensare ad un intervento diretto, anche transitorio, dello Stato”.

Dopo quelle dei giorni scorsi sollevate dal governatore Nichi Vendola che ha scritto al premier Matteo Renzi, inoltre, una nuova polemica oggi investe il commissario Bondi. Duro il direttore dell’agenzia regionale per l’Ambiente della Regione: “Il commissario mente sui dati dell’Arpa, non abbiamo mai sostenuto che non ci sia un legame tra inquinamento e morti come invece sostiene in una sua relazione”. Sotto accusa le parole del commissario che nei giorni scorsi, all’interno di un suo documento aveva negato sia la presenza di veleni a Taranto sia l’esistenza di un nesso causale fra l’inquinamento e l’incidenza dei tumori nello stabilimento.
Assennato in una nota definisce “destituita di fondamento l’affermazione contenuta nel rapporto del dottor Bondi secondo cui Arpa avrebbe escluso ogni nesso causale tra esposizione lavorativa e incidenza di tumori nei lavoratori del reparto officina/carpeteria dell’Ilva. Ciò sia perché Arpa non ha alcuna competenza in merito e non ha avuto comunque richieste specifiche di supporto sul problema, sia perché comunque il monitoraggio ambientale effettuato non può considerarsi adeguato ed esaustivo rispetto al problema”. Secondo Assennato, in effetti, rispetto all’incidenza dei tumori sarebbe necessario uno studio epidemiologico rigoroso della durata di almeno un anno e, pertanto, si spinge a ribadire che “le conclusioni del commissario Bondi che escludono  il nesso causale tra esposizione dei lavoratori e incidenza di tumori, essendo basate su evidenze non documentate, devono essere considerate  puramente autoreferenziali”.

Fonte: La repubblica

Amianto :aspetti medico legali, risarcimento in Italia e negli USA. Monfalcone 2014. Servizio TGR

«Amianto: aspetti medico legali, risarcimento in Italia e negli Usa» è il titolo dell’iniziativa tenutasi  l’8 febbraio nella sala conferenze della biblioteca Comunale di via Ceriani, organizzato da Apin (Asbestos personal injury network) con il patrocinio del Comune di Monfalcone.
Il convegno ha visto il saluto del sindaco, Silvia Altran, a cui sono seguiti gli interventi. I relatori sono stati il presidente di Apin Onlus, Nicola Carabellese, il responsabile del dipartimento di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro dell’Azienda sanitaria Triestina, Valentino Patussi, che ha trattato de “Le patologie asbesto-correlate e l’esperienza dell’Ass 1 Triestina”, il giornalista del Piccolo Roberto Covaz,che ha affrontato invece il tema “L’esperienza dell’amianto e le sue dannose conseguenze”, e l’avvocato Pierpaolo Petruzzelli che si è soffermato sulla “Tutela civilistica del danneggiato negli Stati Uniti d’America e in Italia”.
A chiudere l’elenco dei relatori  Caterina Ajello, procuratore capo del Tribunale di Gorizia dove si è da poco concluso il primo maxi processo sulle morti d’amianto con la condanna degli imputati, cioè i dirigenti che si sono succeduti negli anni ai vertici del cantiere di Panzano, e Raffaele Guariniello, procuratore aggiunto presso la Procura di Torino, che ha istruito il processo contro i vertici dell’azienda Eternit per i morti di Casale Monferrato. Entrambi i magistrati hanno discusso de  “La configurazione dell’illecito penale”. A moderare i lavori  Guendalina Longo dell’Apin.

Lo smog uccide come l'amianto

Secondo lo IARC l’aria inquinata delle nostre città è “Sicuramente cancerogeno”. L’avvocato Petruzzelli: “I sindaci stiano attenti”

Che lo smog fosse pericoloso si sapeva già. che lo Oms lo avesse additato tra i fattori di rischio per la salute, è risaputo. Ma da ieri il concentrato di scarichi auto, industrie, discariche, insomma ciò che costituisce l’aria delle nostre città, è entrato nel poco lusinghiero olimpo delle sostanze cancerogene. Lo ha deliberato la Iarc, l’agenzia dell’Oms che si occupa di ricerca in ambito oncologico, che ha inserito l’inquinamento dell’aria nel gruppo numero 1, quello con le sostanze “sicuramente cancerogene”.

L’inquinamento dell’aria legato allo smog da traffico e ai fumi industriali è una causa di tumore ai polmoni ed è stato collegato al tumore della vescica. Il verdetto dello Iarc, organismo solitamente molto cauto, sta facendo il giro del mondo e la speranza – anche degli autori – è che favorisca l’adozione di politiche mirate. «L’aria che respiriamo è inquinata da una miscela di sostanze cancerogene – sottolinea Kurt Straif, capo della sezione Monografie Iarc, illustrando i risultati – Ora sappiamo che l’inquinamento dell’aria non rappresenta solo un rischio importante per la salute generale, ma è anche una causa principale di morte per cancro».

I dati più recenti suggeriscono che 233 mila morti per tumore ai polmoni siano state causate dall’inquinamento dell’aria nel mondo, solo nel 2010. La monografia Iarc evidenzia come i fumi dei motori diesel, i solventi, i metalli e le polveri che “affumicano” l’aria che respiriamo siano stati etichettati tutti come cancerogeni, ma questa è la prima volta che l’inquinamento dell’aria finisce nella lista nera.

Il Codacons sta per depositare al Tar Lazio un’azione collettiva di 1.400 residenti dei 50 comuni più inquinati d’Italia, per chiedere alle rispettive amministrazioni un indennizzo di 2.000 euro ciascuno per essere stati costretti a respirare aria malsana.

Ora che lo smog è fattore «certamente cancerogeno» secondo lo Iarc, è possibile sarà possibile citare per danni le amministrazioni? «Sì, in effetti adesso cambia lo scenario – ci risponde Pierpaolo Petruzzelli, avvocato specializzato in tematiche ambientali, amianto in primis – perchè al pari delle malattie contratte lavorando si potrà imputare ad esempio un tumore ai polmoni anche a chi è responsabile della salubrità dell’ambiente».
I sindaci, ad esempio?
Sì. Ora andrà identificata la dose minima di esposizione, individuato il limite, non è così immediato ma nelle città dove si sforano i limiti, e questo è certificato, ecco, lì potrà sorgere un profilo di responsabilità soggettiva. A questo punto serve una legge che disciplini la materia al fine anche di individuare i responsabili.
Avvocato, secondo lo Iarc lo smog fa insorgere prevalentemente tumori ai polmoni e alla vescica. Non potrebbe essere utilizzata questa argomentazione dagli avvocati di industriali e “inquinatori” per scrollarsi di dosso le resposabilità?
Beh, oramai la scienza medica sa dirci se un tumore ai polmoni è imputabile a una raffineria o allo smog.

 (Stefania Divertito)

Mal d'amianto. Quel pericolo per la salute che viene sul posto di lavoro.

Quasi 10mila domande presentate all’Inps per una sorta di prepensionamento come compensazione a chi a lavorato per anni a contatto con l’amianto, di cui 4500 sono state riconosciute.
L’amianto a Ravenna è stato per tantissimi lavoratori un elemento del quotidiano, sopratutto al petrolchimico, per anni.Forse con troppo ritardo si sta riconoscendo, affrontando e studiando il problema. Intanto lo ha fatto di recente una 24enne che per la tesi di laurea ha messo in fila tutti i numeri della provincia. E così scopriamo, per esempio, che sono quasi 300 i lavoratori a cui l’INPS ha riconosciuto la malattia professionale

Fonte: Quotidiano “Ravenna e Dintorni

Leggi gli articoli del giornale “Ravenna e dintorni” 

==================

Amianto, un nemico che fa ancora vittime

Il pericolo per la salute che viene dal posto di lavoro

Dal 1965 in provincia di Ravenna l’Inps ha riconosciuto, ai fini pensionistici, l’esposizione all’amianto per 4.479 lavoratori. Le domande presentate sono state 9.689. E tra il 1963 e il 2009 sono 276 i lavoratori, il 40 percento impiegati al petrolchimico, indennizzati dall’Inail per malattie professionali correlate all’amianto.

Vigile del fuocoAl tribunale di Ravenna non si è mai celebrato un processo penale sull’argomento: tutte le inchieste sono finite con l’archiviazione. È il panorama del rapporto fra amianto e lavoro a Ravenna. Lo riassume Elisa Moretti, 24enne cesenate, nella tesi di laurea vincitrice di una delle due borse di studio ideate dal Comune di Ravenna e assegnate dall’università di Bologna con il contributo della Fondazione Del Monte.
Sono serviti mesi di ricerche per raccogliere dati e statistiche capaci di fotografare la situazione ravennate raccontando, con il sostegno dei numeri, il già noto stretto legame tra malattie correlate all’amianto e l’impiego in certi settori dove il minerale, fino alla messa al bando del 1992, veniva utilizzato su larga scala per le sue particolari proprietà ignifughe. La studentessa ha setacciato gli archivi delle istituzioni interessate al problema, dall’Inail all’Inps passando per il Registro regionale dei mesoteliomi, avvalendosi anche delle consulenza delle autorità giudiziarie competenti nei casi in cui le indagini in corso non imponessero il segreto istruttorio

Considerando nello specifico solo il mesotelioma maligno, dal report del registro mesoteliomi regionale del 30 giugno 2012 risultano 178 casi residenti in provincia di Ravenna. Ai fini della valutazione dell’esposizione ad amianto risultano indagati 161 casi: in 105 casi l’esposizione è stata classificata come professionale (82 certa, 8 probabile e 15 possibile), in 12 casi non professionale (6 familiare, 3 ambientale e 3 legata ad attività extra lavorative) e in 43 casi l’esposizione è risultata improbabile o ignota. Un’esposizione ad amianto è, dunque, presente in 117 casi su 160 (73,1 percento); nei maschi la quota sale a 87 percento, mentre nelle donne è stata rilevata nel 27 percento. Il tasso di incidenza regionale per 100mila abitanti, calcolato per il periodo 1996-2010 e standardizzato sulla base della popolazione italiana risultante dal censimento 2001, è pari a 3,2 nei maschi e 1,2 nelle femmine nella Regione Emilia-Romagna, rispetto al 3,6 e 1,2 della Provincia di Ravenna. Il mesotelioma maligno, pertanto, conferma le sue caratteristiche di tumore raro tendenza all’aumento dell’incidenza in entrambi i generi e, considerando la sua pressoché totale letalità, questa patologia tende ad assumere rilevanza sociale con un impatto superiore agli infortuni mortali.

Pensioni. A seguito del Dpr 1124/65, come detto, sono state presentate all’Inps di Ravenna 9.689 domande di riconoscimento di esposizione all’amianto ai fini pensionistici e previdenziali. La legge del 1992 che vieta l’utilizzo dell’amianto concede una rivalutazione contributiva del periodo lavorativo ai fini dell’accesso e della misura delle prestazioni pensionistiche ai lavoratori esposti per un periodo superiore ai dieci anni e a una certa concentrazione escludendo una larga parte di lavoratori e tutti quei soggetti che non hanno subito un’esposizione professionale ma hanno comunque contratto malattie correlate a causa di una esposizione familiare. «Il numero di lavoratori e cittadini ravennati a rischio – scrive Moretti nel suo elaborato – è ben più cospicuo di quello risultante dai dati Inps».

eternit amianto

Indennizzi. L’ente previdenziale Inail locale ha indennizzato 276 casi (di cui solo tre donne) di malattie professionali correlate all’amianto e altre sostanze: 41 presentano placche pleuriche; 21 asbestosi; 61 mesotelioma pleurico e ben 106 carcinoma polmonare. Considerando la finestra di osservazione (1963-2009) e i soli soggetti colpiti dalla malattia asbesto-correlata per motivi professionali risulta che il 41 percento lavoravano al petrolchimico, il 20 percento nei trasporti e il 16 percento nella metalmeccanica. «Poco meno della metà delle esposizioni ad amianto che hanno generato malattia asbesto-correlata professionale si è consumata nel settore petrolchimico del territorio ravennate».

La scheda: amianto, alta resistenza al calore e tre malattie correlate
La parola amianto (o asbesto) indica un insieme di minerali con particolari caratteristiche: resistenza al calore, agli agenti chimici e biologici, all’abrasione e all’usura; flessibilità ma elevatissima resistenza alla trazione. Per le sue caratteristiche, l’amianto è stato utilizzato fino agli anni ottanta per la coibentazione di edifici, tetti, navi, treni; come materiale da costruzione per l’edilizia. Facile quindi comprendere la sua grande diffusione nell’area ravennate: l’alto rischio di incendi o esplosioni nelle raffinerie di petrolio e nell’industria petrolchimica è stato contenuto con il massiccio uso di coibentazioni a base di amianto. Dal 1992 in Italia è vietata la produzione e lavorazione dell’amianto. Le malattie principali correlate all’esposizione da amianto sono tre: asbestosi, mesotelioma pleurico e carcinoma polmonare. L’asbestosi è un’affezione irreversibile costituita dalla formazione di cicatrici fibrosiche che colpisce l’interstizio polmonare, causando grave insufficienza respiratoria. Il mesotelioma è un tumore maligno che colpisce le membrane sierose di rivestimento degli organi a livello toracico, dominale, cardiaco, testicolare o ovarico. L’insorgenza è comunemente considerata, dal punto di vista epidemiologico, come evento sentinella di una pregressa esposizione, non solo professionale. Si tratta, infatti, di una neoplasia molto rara nella popolazione generale non esposta. Il carcinoma polmonare è una cancerogenesi molto frequente anche tra la popolazione non esposta ad amianto

Fonte: http://www.ravennaedintorni.it/ravenna-notizie/35714/amianto-un-nemico-che-fa-ancora-vittime.html di Andrea Alberizia

Leggi gli articoli del giornale “Ravenna e dintorni” 

==================

Amianto, il giudice Riverso all’attacco:  «Perché nessun processo a Ravenna?»

«C’è un problema di giustizia carente sulle malattie professionali»

«L’amianto è la causa principale per le morti sul lavoro, è superiore agli infortuni. Ravenna è una delle zone con rischi maggiori per il mesotelioma eppure si contano zero processi penali». C’è rabbia ma c’è anche voglia di battersi nelle parole di Roberto Riverso, giudice del lavoro del tribunale di Ravenna da tempo impegnato sul fronte della guerra alle malattie professionali correlate all’esposizione all’amianto.

«A volte sento parlare addirittura di eccesso di giustizialismo. È il contrario. C’è un problema politico di giustizia carente sulle malattie professionali». Una questione che riguarda il territorio ravennate come tutto il resto d’Italia: «Dal 1900 si sa che l’amianto provoca asbestosi, dagli anni quaranta si sa che è responsabile del tumore polmonare, dal 1965 che provoca mesotelioma. La questione amianto mette sotto accusa un’intera classe dirigente: già prima del 1992, quando venne messo al bando l’utilizzo, c’erano norme che regolavano l’utilizzo del minerale. Ma il cartello dell’amianto ha sempre fatto pressioni perché le regole non si applicassero». E quindi a monte di tutto un deficit informativo che ha tenuto nell’ignoranza dei rischi chi quotidianamente lavorava a contatto con questi materiali: «Le imprese informate lasciavano i lavoratori all’oscuro di tutto. Ci sono immagini di operai che impastavano il cemento amianto con le mani. Operai che pranzavano in pausa pranzo accanto ai sacchi dell’amianto». Allora prepariamoci al picco delle malattie correlate da attendersi tra il 2015 e il 2020 quando saranno passati una quarantina d’anni, il periodo latenza, dagli anni ottanta con il boom dell’utilizzo.

Fonte: http://www.ravennaedintorni.it/ravenna-notizie/35736/amianto-il-giudice-riverso-all-attacco-perche-nessun-processo-a-ravenna.html di Andrea Alberizia

Leggi gli articoli del giornale “Ravenna e dintorni” 

==================

Amianto, discarica in attesa

Il primo sito ravennate, a Russi, in attesa da anni: il Comune ha già il caso della centrale a biomasse. Smaltimento in Germania

discarica abusiva
Nel primo semestre del 2013 potrebbe arrivare il sì definitivo dalla conferenza provinciale dei servizi per avviare i lavori di realizzazione della prima discarica di amianto in provincia di Ravenna. È il progetto presentato quasi sette anni fa dalla società faentina Calderana per bonificare la vecchia discarica abbandonata di Russi.

Il piano è trasformarla in un sito per lo stoccaggio dell’amianto rimosso da edifici pubblici e privati. La capacità dell’area è calcolata in circa 400mila tonnellate: «In tutta la provincia di Ravenna – spiega Boris Pesci, presidente del gruppo Astra che controlla Calderana – si può stimare che ci siano tra 500mila e 600mila tonnellate ancora da rimuovere dagli edifici».
Sotto il profilo strettamente economico l’intervento sarebbe a costo zero per le casse comunali e, sottolinea l’impresa promotrice, dovrebbe essere visto dai cittadini e dalle istituzioni come un miglioramento della salute: «Gli studi hanno ormai stabilito che la pericolosità del cemento amianto esiste solo quando questo è all’aria e rischia di sfaldarsi mentre se è stoccato nel rispetto delle normative nelle discariche, non è pericoloso per l’uomo. L’ultima conferenza nazionale dedicata al tema della pericolosità da amianto ha chiaramente affermato che non c’è altra soluzione se non la discarica». Non solo: «La discarica per l’amianto a Russi verrebbe realizzata dove oggi c’è la vecchia discarica di rifiuti urbani abbandonata e non più a norma. Acquistammo quell’area perché il Comune nel 2006 ci chiese di risolvere quel problema a costo zero». E il costo zero per il Comune significa fare guadagni attraverso lo smaltimento dell’amianto.
Oggi succede che lo smaltimento dell’eternit si faccia spedendo camion in Germania: «Ogni giorno facciamo due o tre autotreni con un costo per l’impresa che deve smaltire fino a 160 euro a tonnellata. Realizzando un sito nel territorio si ridurrebbero di molto i costi economici, fino al trenta percento. E magari bisognerebbe anche rendersi conto che ci sarebbero meno camion che producono inquinamento».
Calderana si è anche impegnata a stanziare un fondo da 100mila euro annui per dieci anni da utilizzare per gli interventi di rimozione dell’eternit dalle strutture private: «Partiremmo dal comune di Russi: per i residenti la bonifica sarebbe a costo zero. Una volta completato il territorio russiano ci allargheremmo a quello circostante con un beneficio per tutti». Ma non sarebbe solo questo l’aspetto positivo per Russi e i suoi abitanti: «La discarica abbandonata non è in sicurezza con le norme. Una volta riempita la capacità della discarica questa verrebbe coperta e diventerebbe un parco pubblico».
Ma Calderana si trova a dover fare i conti con il cambio di rotta deciso dalla giunta Retini dopo le elezioni del 2009: in precedenza la giunta Vanicelli aveva dato il via libera mentre la nuova amministrazione, che deve fare i conti con i mal di pancia per la conversione dello zuccherificio Eridiania in una centrale a biomasse, ha scelto di evitare altre questioni ambientali.

I dati: 6,3 milioni di chili raccolti nel 2011 da ausl
Nel 2011 in provincia di Ravenna il servizio di medicina del lavoro dell’Ausl ha rimosso 6,3 milioni di chilogrammi di amianto in circa tremila interventi: 398 edifici industriali, 71 impianti, 2.289 abitazioni civili, 162 edifici di enti pubblici, 111 aree e capannoni dismessi. Le tonnellate di amianto raccolte a domicilio nel 2012, nell’intero territorio servito da Hera Ravenna (Comuni di Ravenna, Cervia, Russi e Bassa Romagna) sono 333. I clienti che hanno fatto richiesta di ritiro sono 1.195. Il servizio di ritiro a domicilio esiste dal 2003: è gratuito fino a 250 chilogrammi ed è rivolto alle sole utenze domestiche titolari di un contratto di igiene ambientale. Le famiglie che richiedono questo tipo di bonifica corretta devono farsi carico del solo costo dei dispositivi di sicurezza mentre il ritiro e lo smaltimento per le suddette quantità sono effettuati gratuitamente da Hera.

Fonte: http://www.ravennaedintorni.it/ravenna-notizie/35736/amianto-il-giudice-riverso-all-attacco-perche-nessun-processo-a-ravenna.html di Andrea Alberizia

Leggi gli articoli del giornale “Ravenna e dintorni” 

Sentenza post mortem per esposti all’amianto

Sentenza post mortem per esposti all’amianto
di Giuseppe Armenise

Vite rovinate da una malattia professionale con tasso di invalidità il cui riconoscimento, però, arriva dopo anni e solo per via giudiziaria, in alcuni casi addirittura dopo la morte del lavoratore. Accade in Italia, accade per colpa dell’amianto. Al momento si registrano sei i casi, verosimilmente solo i primi sei di una lunga serie, tutti sciolti dal giudice del lavoro dei tribunale di Bari, Daniele Colucci, che ha condannato l’Inail a riconoscere in alcuni casi, a rivedere al rialzo in altri, la rendita per malattie da lavoro ad altrettanti marittimi (cinque di Monopoli e uno di Mola) imbarcati per anni su navi mercantili o su petroliere. Amianto a piene mani soprattutto nei vani caldaia e motore. Amianto in corde, prevalentemente, attorcigliate intorno alle condutture bollenti per svolgere la loro funzione di impareggiabili isolanti.

Le sentenze baresi sono state emanate a beneficio rispettivamente di due ex marittimi che, dopo aver invano tentato di farsi riconoscere i diritti delle leggi sull’esposizione all’amianto, si sono ammalati di asbestosi, di altri due che invece hanno contratto tumori polmonari con annesse placche pleuriche (chiaro sintomo quando si tratta di patologie provocate dalle sottilissime fibre di amianto) e infine dei due più sfortunati, che hanno contratto egualmente patologie cancerogene a livello polmonare e a causa di queste sono morti. In quest’ultima caso, le rendite dovute sono state riconosciute alle consorti.

Le sentenze sono importanti non soltanto perché coronano la battaglia di persone che si sono dovute scontrare anche per decenni contro il muro eretto da quelle istituzioni intenzionate a disconoscere il loro diritto a vedersi risarciti, ma anche perché segnano l’avvento di una nuova, tristissima stagione. Per molti, soprattutto nel settore marinaro, la vicinanza con l’amianto è stata una sorta di tabù. Non se ne poteva parlare e quando se ne parlava si veniva tacciati di dire il falso. Ancora recentemente, nonostante l’amianto sia stato messo al bando anche in Italia nel 1992, continuavano a solcare i mari motovedette o altre navi militari, retaggio del piano Marshall quando, nel secondo dopoguerra, gli scafi intrisi di materiale pericoloso per la salute ci furono donati dagli statunitensi ed entrano a far parte della nostra flotta.

I lavoratori esposti sulle navi sono stati trattati, per certi versi, come malati di serie B. Gli armatori non sono mai stati tenuti, come invece gli imprenditori di altri settori, a versare all’Inail il premio per l’esposizione dei lavoratori a materiali contenenti amianto. Il risultato è che, per gli organismi previdenziali e per gli enti assicurativi contro gli infortuni sul lavoro, di fatto i lavoratori imbarcati hanno cominciato ad esistere solo dopo decenni dal momento in cui hanno preso coscienza dei rischi che correvano. Che fossero lavoratori a rischio ci si è accorti solo quando si sono ammalati e ammalati in maniera grave e comunque solo grazie all’intervento di un giudice. Nessuno ha potuto ottenere, in via cautelativa, di essere destinato ad altra mansione, così come accaduto per altre categorie professionali, lontana dalla fonte di contaminazione.

A rappresentare i lavoratori e le loro famiglie, l’avvocato Pierpaolo Petruzzelli, riferimento in Italia per una serie di procedimenti risarcitori avviati (e vinti) da altri marinai imbarcati proprio su quelle navi «donate» dagli Usa all’Italia dopo la seconda guerra mondiale. Petruzzelli è referente in Italia dell’Asbestos personal injury network che il 16 novembre, a Napoli, terrà un incontro sugli aspetti medico-legali nel rapporto tra giustizia e salute in caso di malattie provocate dall’esposizione all’amianto.

Fonte:
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=567686&IDCategoria=1

Sentenza post mortem per esposti all’amianto

Vite rovinate da una malattia professionale con tasso di invalidità il cui riconoscimento, però, arriva dopo anni e solo per via giudiziaria, in alcuni casi addirittura dopo la morte del lavoratore. Accade in Italia, accade per colpa dell’amianto. Al momento si registrano sei i casi, verosimilmente solo i primi sei di una lunga serie, tutti sciolti dal giudice del lavoro dei tribunale di Bari, Daniele Colucci, che ha condannato l’Inail a riconoscere in alcuni casi, a rivedere al rialzo in altri, la rendita per malattie da lavoro ad altrettanti marittimi (cinque di Monopoli e uno di Mola) imbarcati per anni su navi mercantili o su petroliere. Amianto a piene mani soprattutto nei vani caldaia e motore. Amianto in corde, prevalentemente, attorcigliate intorno alle condutture bollenti per svolgere la loro funzione di impareggiabili isolanti.

Le sentenze baresi sono state emanate a beneficio rispettivamente di due ex marittimi che, dopo aver invano tentato di farsi riconoscere i diritti delle leggi sull’esposizione all’amianto, si sono ammalati di asbestosi, di altri due che invece hanno contratto tumori polmonari con annesse placche pleuriche (chiaro sintomo quando si tratta di patologie provocate dalle sottilissime fibre di amianto) e infine dei due più sfortunati, che hanno contratto egualmente patologie cancerogene a livello polmonare e a causa di queste sono morti. In quest’ultima caso, le rendite dovute sono state riconosciute alle consorti.

Le sentenze sono importanti non soltanto perché coronano la battaglia di persone che si sono dovute scontrare anche per decenni contro il muro eretto da quelle istituzioni intenzionate a disconoscere il loro diritto a vedersi risarciti, ma anche perché segnano l’avvento di una nuova, tristissima stagione. Per molti, soprattutto nel settore marinaro, la vicinanza con l’amianto è stata una sorta di tabù. Non se ne poteva parlare e quando se ne parlava si veniva tacciati di dire il falso. Ancora recentemente, nonostante l’amianto sia stato messo al bando anche in Italia nel 1992, continuavano a solcare i mari motovedette o altre navi militari, retaggio del piano Marshall quando, nel secondo dopoguerra, gli scafi intrisi di materiale pericoloso per la salute ci furono donati dagli statunitensi ed entrano a far parte della nostra flotta.

I lavoratori esposti sulle navi sono stati trattati, per certi versi, come malati di serie B. Gli armatori non sono mai stati tenuti, come invece gli imprenditori di altri settori, a versare all’Inail il premio per l’esposizione dei lavoratori a materiali contenenti amianto. Il risultato è che, per gli organismi previdenziali e per gli enti assicurativi contro gli infortuni sul lavoro, di fatto i lavoratori imbarcati hanno cominciato ad esistere solo dopo decenni dal momento in cui hanno preso coscienza dei rischi che correvano. Che fossero lavoratori a rischio ci si è accorti solo quando si sono ammalati e ammalati in maniera grave e comunque solo grazie all’intervento di un giudice. Nessuno ha potuto ottenere, in via cautelativa, di essere destinato ad altra mansione, così come accaduto per altre categorie professionali, lontana dalla fonte di contaminazione.

A rappresentare i lavoratori e le loro famiglie, l’avvocato Pierpaolo Petruzzelli, riferimento in Italia per una serie di procedimenti risarcitori avviati (e vinti) da altri marinai imbarcati proprio su quelle navi «donate» dagli Usa all’Italia dopo la seconda guerra mondiale. Petruzzelli è referente in Italia dell’Asbestos personal injury network che il 16 novembre, a Napoli, terrà un incontro sugli aspetti medico-legali nel rapporto tra giustizia e salute in caso di malattie provocate dall’esposizione all’amianto.

Fonte: Giuseppe Armenise  (La Gazzetta del Mezzogiorno)

Interrogazione parlamentare "Lavoratori marittimi esposti all’amianto"

Si rende noto che in occasione dell’incontro tenutosi presso le sale di Palazzo Madama in Roma lo scorso 4 luglio del 2012 tra la senatrice Patrizia Bugnano e l’ APIN – Asbestos Personal Injury Network – Vittime Amianto Onlus, l’associazione ha, ancora una volta, sollecitato un intervento legislativo urgente per tutelare e garantire le vittime dell’esposizione all’amianto. Immediata l’azione della parlamentare che ha presentato l’interrogazione n. 4-08290 denominata “Lavoratori marittimi  esposti all’amianto”.

Con tale interrogazione e’ stato chiesto, tra l’altro, ai Ministri della Salute e del Lavoro se, nel caso in cui venga verificata l’effettiva presenza di amianto, intendano intervenire per “garantire a tutti i lavoratori alle dipendenze delle compagnie di navigazione  esposti all’amianto, il diritto al riconoscimento dei benefici previsti dalla legge n. 257 del 1992“, e, inoltre, di quali elementi dispongano in relazione alle varie denunce presentate dall’APIN in merito all’elevato rischio amianto per i lavoratori del settore marittimo. Particolare interesse è stato, inoltre, manifestato dalla Senatrice in ordine all’attività posta in essere dalla Onlus sia in relazione alla tutela dei diritti dei lavoratori, che in rilazione alla c.d. esposizione secondaria che colpisce le mogli dei marittimi che abbiano contratto una malattia asbesto correlata, facendo così luce, su un’ulteriore inquietante scenario che riguarda le donne che si occupavano, ad esempio, del lavaggio degli indumenti di lavoro dei propri mariti.