C’è un nesso tra l’insorgere del tumore alla prostata che ha colpito un ex operaio della Bridgestone e l’esposizione al cadmio, una sostanza che viene utilizzata nel ciclo produttivo della gomma. La sentenza è stata emessa nei giorni scorsi dalla sezione lavoro del Tribunale di Bari nella causa intentata dall’uomo nei confronti dell’Inail, chiamato in giudizio, non avendo riconosciuto l’origine professionale della malattia.
Non solo amianto, dunque. Dopo che numerose sentenze hanno da tempo riconosciuto un collegamento diretto tra l’esposizione alle micidiali fibre e l’insorgere di tumori soprattutto ai polmoni, il provvedimento è uno dei primi a stabilire che altri elementi del ciclo produttivo, come, appunto, il cadmio, potrebbero avere contribuito a determinare un’altra tipologia di tumore. In questo caso, appunto, un adenocarcinoma alla prostata.
Il cadmio – lo ricordiamo – è una sostanza chimica, un metallo utilizzato per produrre pigmenti, rivestimenti e stabilizzanti per materie plastiche. Nel maneggiare il cadmio e i suoi composti è importante lavorare sotto una cappa aspirante in modo da non inalarne i vapori. Una volta assorbito, si accumula nel fegato e nei reni. In questi organi può permanere anche per diversi anni prima di essere smaltito attraverso le urine.
Il giudice Assunta Napoliello, condividendo le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, ha dichiarato l’operaio in pensione affetto da malattia professionale e inabile al lavoro in modo permanente nella misura del 30%. E ha condannato l’Inail «a liquidare il danno biologico e a costituire la relativa rendita nella misura del 30%». L’Istituto di previdenza dovrà anche pagare le spese legali e quelle per la consulenza.
«È altamente probabile – scrive tra l’altro il giudice nella sentenza – che il tumore prostatico di cui è affetto il ricorrente sia da attribuire, sia pure quale concausa, all’attività lavorativa dallo stesso svolta». E ancora: «L’esposizione al cadmio – scrive il giudice, richiamando le conclusioni cui è giunto l’esperto cui sono stati delegati gli accertamenti tecnici – è avvenuta per una durata più che sufficiente per consentire lo sviluppo della della neoplasia maligna».
L’Inail riteneva che la malattia non avesse nulla a che fare con l’attività lavorativa dell’operaio. La domanda per il riconoscimento dell’invalidità fu così rigettata. Ma l’operaio, assistito dall’avvocato Pierpaolo Petruzzelli, non si è dato per vinto. Nel 2009 ha presentato un ricorso. Il processo davanti al Tribunale del lavoro si è concluso nei giorni scorsi con una sentenza che ha riconosciuto la sussistenza del nesso fra la malattia e il lavoro svolto per tutti quegli anni. L’uomo, ha stabilito il Tribunale, si è ammalato nello stabilimento dove ha lavorato per anni. Il riconoscimento della malattia professionale è «retrodatato» al gennaio 2007.
La sentenza non è definitiva. L’Inail potrebbe impugnare il provvedimento in appello come ha già fatto come ha già fatto avverso una recente sentenza di primo grado che ha riconosciuto un collegamento tra l’esposizione al «cadmio, leghe e composti» e l’insorgere di un tumore alla vescica. Intanto, però, il giudice ha condannato l’Istituto a corrispondere all’operaio in pensione l’indennità.
di Giovanni Longo
Fonte: http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/cancro-dal-lavoro-nello-stabilimento-inail-condannata-no668565
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